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M.V. Anno IX - Nr 169 del 07/09/2009

Incidenti aerei e timoni di coda galleggianti

M.V. Anno IX - Nr 169 del 07/09/2009
Per chi, come il sottoscritto, ha vagliato e catalogato oltre mezzo secolo di incidenti aerei dal 1951 ad oggi (*), fa un certo effetto vedere fotografie con code di aerei intatte che galleggiano sul mare.

Negli anni passati, quando la struttura del velivolo era interamente metallica, i primi relitti ad apparire in superficie erano componenti dell’arredamento interno, come ad esempio parti di sedili, ma la struttura del velivolo, coda compresa, rimaneva adagiata nei fondali marini.
Vedere una foto che mostra l’impennaggio verticale (tail assembly) pressoché integro che galleggia tranquillamente sulle onde, giocoforza conduce a pensare alla leggerezza del materiale usato.
E parlando di materiale, il pensiero non può non andare a quei “composite materials” di cui i costruttori aeronautici fanno ormai largo uso nel licenziare dalle loro catene di montaggio aerei sempre più leggeri in quanto “i materiali compositi significano meno peso, meno peso significa risparmiare carburante, il risparmio del carburante fa bene all’ambiente e ai bilanci dei nostri clienti” (Allan McArtor, Chairman di Airbus NordAmerica).

Su questo argomento l'Airbus si può considerare senz’altro una pioniera. Dal sito Airbus.com:
"Airbus pioneered the use of advanced composite materials on the A300B in 1972, incorporating them in secondary structures such as tailfin leading edges. Composites subsequently were applied to primary structures, with an entirely composite vertical tail plane introduced on the A310-300."

A330 dell'Air France
Mentre rimangono ancora infruttuose le ricerche dei registratori di volo dell’A330 Air France in servizio sulla Rio-Parigi gli unici in grado di dare una risposta definitiva sulle cause dell’incidente, quella ennesima coda galleggiante ha riaperto negli ambienti aeronautici il dibattito sulla affidabilità che offrono i materiali compositi, in particolare quando essi operano in condizioni estreme.

L’A330 è un velivolo che fa uso della tecnologia CFRP (Carbon Fibre Reinforced Plastic).
Le strutture in fibro-carbonio essendo più leggere permettono notevoli risparmi di carburante, ma le controindicazioni sono forse ancora da appurare nella loro interezza. L’alluminio ad esempio trasforma un aereo in una gabbia Faraday il che significa che un eventuale fulmine si disperde all’esterno della struttura; ebbene i velivoli con alta presenza di materiali compositi non garantirebbero questa copertura. Uno studio condotto da ricercatori della Nasa sotto il titolo “Lightning Hazards to Composite Aircraft” afferma che il danno che un fulmine può provocare a questi aeromobili è “spesso più severo di quello che i test standard possono prevedere”.
Inoltre sarebbe stata registrata una protezione inferiore (less shielding) nei confronti di interferenze elettromagnetiche che possono così influenzare direttamente i collegamenti degli apparati di bordo.
E gli inconvenienti non finiscono qui, leggere il suddetto rapporto della Nasa datato 9 dicembre 2008, per apprendere l’elenco completo. Il più subdolo fra gli svantaggi sarebbe comunque costituito proprio dalla caratteristica stessa del materiale: se è vero infatti che uno dei punti di forza è dato dalla maggior robustezza (greater strength) nei confronti dell’alluminio, è purtroppo appurato che fra le controindicazioni vi è da includere che la robustezza può variare da partita a partita (“batch to batch”).

Airbus 300 dell'American Airlines
I materiali compositi sarebbero insomma più vulnerabili, suscettibili di minor resistenza a forze che, eccezionalmente, possono essere impresse alle strutture cui essi fanno parte.
Un documento dell’NTSB del settembre 2003 (Safety Recommendation A-03-41/44) avvertiva che erano stati riscontrati episodi in cui vari velivoli erano stati sottoposti a un eccesso di “carico” rispetto a quanto previsto nella fase di certificazione e ciò avveniva “more frequently than previously known”.

In merito, due sono le teorie che attualmente si confrontano. Dal punto di vista di ingegneria aeronautica si tende ad escludere categoricamente che un incidente possa avvenire per un distacco di coda, in quanto le prove di robustezza cui i velivoli vengono sottoposti prima di entrare in servizio, eccedono in termini di severità qualsiasi evento, e relativa sollecitazione estrema, che potrebbe realmente accadere.
Inoltre nel caso di Air France si fa presente che l’aereo disponeva di dispositivi che avrebbero evitato all’equipaggio di imprimere comandi tali da danneggiare strutturalmente il velivolo.
Da questa ottica il distacco della coda, che non può essere negato, non viene visto come “il punto zero” dell’evento, ma eventualmente come il risultato di un overstress causato da un rateo di eccessiva discesa, dovuto appunto ad altri fattori.

A questi argomenti però ne vengono contrapposti altri che, allo stato attuale delle indagini, vale la pena riproporre.
Innanzitutto si fa presente che in mezzo secolo di aviazione civile, dal dopoguerra all’avvento dei primi aerei a fibre di carbonio, in tempi cioè in cui gli aerei erano costruiti in metallo, non si è mai verificato un incidente caratterizzato dal distacco netto della coda.
Inoltre si evidenzia che uno dei primi, fra i numerosi messaggi che il sistema ACARS ha mandato in automatico alla base di Parigi, riguardava problemi al “rudder limiter”, a quell’apparato cioè che limita il movimento dei pedali in modo che il pilota non possa dare sollecitazioni estreme alle strutture di coda. Quindi, si fa notare, se tale dispositivo limitante non funzionava, l’equipaggio avrebbe potuto imprimere quei comandi eccessivi ai quali sarebbero estremamente sensibili i materiali compositi.
Il terzo punto che si evidenzia sono “i precedenti”.

12 maggio 1997
Un A300-600 American Airlines che, a causa di un temporale su Miami, era in circuito di attesa a FL 160, ebbe improvvisamente forti oscillazioni laterali e perdita repentina di quota. Poiché l’aeromobile fu sottoposto a sforzi eccessivi durante i tentativi di recuperarne il controllo, quando l’aereo atterrò furono fatti controlli che non evidenziarono alcuna anomalia. Quando tuttavia a marzo del 2002 la struttura di coda fu materialmente staccata dal corpo della fusoliera per essere sottoposta a un radicale controllo (anche a seguito dell’evento del 14 novembre 2001 che qui sotto riportiamo) l’esame agli ultrasuoni rivelò due crescent-shaped cracks ad uno dei punti dove la deriva di coda (tail fin) è congiunta alla fusoliera.

Il 14 novembre 2001, un Airbus 300 della American Airlines precipitò nell’area residenziale di Belle Harbor, pochi minuti dopo il decollo dal Kennedy di New York. Tutti i 260 occupanti a bordo perirono ed inoltre vi furono 5 vittime a terra.
The National Transportation Safety Board determines that the probable cause of this accident was the in-flight separation of the vertical stabilizer as a result of the loads beyond ultimate design that were created by the first officer’s unnecessary and excessive rudder pedal inputs.
Il rapporto ufficiale dell’NTSB appurerà che l’eccessivo input dato dal primo ufficiale sul pedale che controlla il timone di direzione aveva provocato il distacco dello stabilizzatore verticale di coda.
La causa dell’eccessivo input venne identificata nella “overreaction” alla turbolenza di scia provocata da un B747 della Japan Airlines decollato immediatamente prima.

Nell’incidente di New York anche se la commissione di inchiesta puntò il dito sulla reazione eccessiva avuta dal primo ufficiale, vi fu già chi si interrogò, osservando la coda tranciata di netto, se le fibre di carbonio che avevano parzialmente sostituito l’alluminio nella costruzione dei velivoli di linea ultima generazione, potevano vantare meno solidità rispetto alle tradizionali strutture metalliche.

Airbus 320 Air New Zealand
Forse l’evento più significativo è anche il meno noto all’opinione pubblica ed è quello occorso il 6 marzo 2005 a un Airbus 310 con 262 passeggeri della compagnia canadese Air Transat.
Mentre l’aereo era in fase di crociera a 35.000 piedi l’equipaggio sentì un forte boato seguito da vibrazioni che durarono alcuni secondi. L’aereo entrò in quello che in gergo viene chiamato “dutch roll” e venne deciso di riportare immediatamente l’aereo a terra. All’arrivo fu scoperto che parte del timone di direzione verticale (rudder) si era staccata dall’impennaggio della coda. Successive analisi appurarono che alcuni giunti di collegamento avevano subito il fenomeno della delamination, che è un altro punto debole dei materiali compositi.
In quell’occasione il Transportation Safety Board del Canada osservò nella sua relazione che la separazione della coda e il danno riscontrato durante le successive ispezioni suggeriscono che gli attuali programmi di ispezione cui sono sottoposti i rudders compositi della Airbus “may not be adeguate to provide for the timely detection of defects”.

Tornando all’incidente all’Airbus 330 Rio-Parigi, quando questo era in crociera a 35.000 piedi improvvisamente l’autopilota si disconnetteva e una serie di messaggi indicanti vari problemi tecnici veniva inviata alla base. In quel momento l’aereo attraversava un’area temporalesca e l’equipaggio si è trovato con l’autopilota disconnesso e una serie di messaggi indicanti vari guasti cui far fronte. Il tutto nella assoluta oscurità, senza l’ausilio visivo dell’orizzonte naturale e probabilmente in balia di forze aerodinamiche non controllabili.
Ebbene in questa chain of events è davvero impossibile ritenere che l’equipaggio nel tentativo di riportare in assetto il velivolo abbia esercitato comandi tali da provocare il distacco della coda?
Ovviamente non dimenticando quel probabile guasto al “rudder limiter” di cui abbiamo parlato.

Per dovere di cronaca precisiamo che le tre foto mostrate si riferiscono agli incidenti occorsi all’A330 dell’Air France, 1 giugno 2009; all’Airbus 300 American Airlines, 14 novembre 2001; all’Airbus 320 con i colori di Air New Zealand (XL Airways Germany) il 27 novembre 2008, e che per i due ove le indagini sono state concluse, American Airlines e XL Airways Germany, l’aspetto dei materiali compositi non viene ufficialmente messo sotto accusa.

Detto ciò va però precisato, in particolare alla luce di quanto avvenuto all’A310 della Air Transat, che se l’aviazione civile dovesse affidarsi a materiali che offrono indubbi vantaggi economici, ma sui quali si nutrissero pur minimi dubbi circa la affidabilità di tenuta, anche se in condizioni estreme, non crediamo che quest’ultimo fattore possa venir a lungo ignorato.

Antonio Bordoni
(*) www.air-accidents.com


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