Tra i relatori Giorgio Benvenuto, indiscusso protagonista degli anni che hanno portato al cambiamento del mondo del Lavoro e dell'Istruzione.
Si è spesso sentito dire che la storia si comincia a comprendere a distanza di 50 anni dagli eventi che l'hanno determinata, meglio ancora se a darne contezza, a distanza di mezzo secolo, sono gli uomini e le donne che l'hanno vissuta.
Che il 1968 sia stato l'anno che ha ha dato il via ad una "rivoluzione" culturale e sociale è opinione comune, così come è un dato certo che chi era ragazzo in quel periodo lo sia rimasto anche a distanza di cinquant'anni perchè consapevole di essere passato attraverso esperienze che un po' hanno cambiato il mondo.
L'Arte, la Musica, la Moda, il mondo del Lavoro e quello della Scuola, Informazione (in tempi in cui Internet era ancora di la da venire) ... tutto è stato influenzato da un Movimento di massa che si riproponeva-in parte riuscendovi-di cambiare la società.
Il convegno che si è tenuto il 27 Settembre, presso la sede dell'Enciclopedia Italiana Treccani, si è proposto l'ardito compito di dare, a distanza di 5 decadi, una lettura a quel periodo per comprenderne le origini e offrire spunti di riflessione.
Giorgio Benvenuto (classe 1937) in quegli anni ai vertici della UIL (Unione Italiana del Lavoro) e oggi presidente delle Fondazioni Bruno Buozzi e Pietro Nenni, ha condotto per mano i partecipanti al Convegno (Sala gremita) in un percorso di memoria e condivisione del vissuto.
Al dibattito hanno preso parte anche Massimo di Menna, Valentina Sereni, Massimo Pieri e Mario Tronti.
L'Architetto Paolo Portoghesi (classe 1931) non potendo intervenire di persona ha inviato una lettera, in cui racconta le sue esperienze di docente, nel 1968 e anni successivi, di cui a seguire pubblichiamo ampi stralci.
A CINQUANTA ANNI DAL 1968
di Paolo Portoghesi
"Parlare del ’68 per me è parlare anzitutto di una esperienza didattica perché non appartengo alla generazione delle lotte studentesche che hanno reso celebre questo anno del secolo scorso. Nato nel ’31, nel ‘68 avevo 37 anni ed avevo appena vinta la cattedra di Storia dell’Architettura del Politecnico di Milano. Mi apprestavo ad approfondire nella nuova sede, la mia conoscenza del barocco lombardo e arrivai con una valigia piena di libri e di diapositive. Trovai una facoltà in fiamme e prima di lasciare Roma feci in tempo ad assistere alla famosa rivolta di Valle Giulia ..."
"Essendo, nella facoltà di architettura di Milano, l’ultimo arrivato e il più giovane in un Consiglio di facoltà composto da grandi architetti che avevano combattuto la battaglia per l’architettura moderna, i miei colleghi (Belgiojoso, Albini, Viganò, Bottoni, De Carli) decisero di eleggermi preside.
Così divenni il bersaglio di una assemblea di studenti ribelli e dovetti elaborare una strategia riformista, da porre a confronto con la strategia rivoluzionaria che ritenevo inattuale e chimerica."
" Fu una impresa difficile e sofferta, in cui molti degli studenti remavano contro o perché vicini al P.C.I. e propensi a una struttura più tradizionale, o perché il loro obiettivo era proprio quello di dimostrare che il riformismo è una invenzione del capitalismo.
L’allora ministro Misasi autorizzò la sperimentazione, ma quando il rettore del Politecnico, dopo due anni di lavoro, si spaventò per il nuovo clima che si era creato nella facoltà di architettura e chiese aiuto ai poteri forti scattò una reazione violenta."
"... mio coinvolgimento nella lotta degli studenti per cambiare le istituzioni: un coinvolgimento parziale, in difesa della cultura che a mio parere non apparteneva a una sola classe sociale, ma a tutte nel loro insieme."
"La mia opinione sulle vicende del ’68, in Italia e non solo, è che è stato un movimento ambiguo nei suoi risultati, ma storicamente ricco di risvolti positivi. È servito a promuovere una radicale autocritica nello schieramento di sinistra del quale ha demolito molti miti intaccandone l’autoritarismo che ancora dominava al suo interno. Ha aperto la strada alla “società dei diritti” e alla demolizione di molti steccati che dividevano le forze innovatrici."
"I punti deboli, a distanza di mezzo secolo, risultano evidenti. La pretesa vicinanza alla classe operaia e ai suoi problemi si è rivelata illusoria. La lotta contro la meritocrazia ha assunto aspetti così paradossali da creare per reazione l’attuale eccessiva rivalutazione di un indirizzo che ignora la logica dei privilegi sociali. Proclamando la necessità di una cultura dei diritti non si è dato spazio a una parallela “cultura dei doveri” ..."
"Certamente il ’68 è un frutto della borghesia, della sua audace capacità autocritica, ma anche della incapacità di andare fino in fondo nei processi ideali che individua. Oggi i problemi della società sono diversi. L’osmosi tra le classi sociali indebolisce le ragioni stesse di una lotta tra entità dai contorni imprecisi. L’enfasi della comunicazione, le macchine che sottraggono il lavoro ai cittadini, l’elefantiasi della burocrazia che rende tutto difficile, il capitalismo finanziario che ha sostituito il capitalismo industriale, il consumismo giunto a una evoluzione allarmante, la crisi ambientale e climatica che si profila in modo sempre più drammatico. Tutto ciò richiede nuove strategie che la cultura e la politica tardano a proporci non ostante siano irrimandabili."
"Perché la terra non diventi, per la leggerezza dei suoi abitanti e per l’abbandono alle pericolose offerte della tecnologia asservita al potere finanziario, un pianeta non più abitabile dall’uomo, occorre combattere una nuova battaglia per la quale il socialismo se non offre ricette infallibili offre però una tradizione di sacrifici e di preziose conquiste.
è possibile leggere il testo completo alla pagina WEB:
http://www.fondazionebrunobuozzi.it/